Giovedì 20 ottobre 2016, presso l’Università del Sannio, si è svolta la quinta lezione del corso ‘Letteratura e diritto’ del prof. Felice Casucci. Questo stage Universitario, previsto dal corso formativo dell’Internazionale Quadriennale, è iniziato il giorno 6 ottobre 2016 e ci vedrà impegnati per 60 ore, consentirà di proiettarci in un’ esperienza tutta nuova nel campo sia giuridico che letterario. La lezione ha avuto il contributo di Graziana Brescia, professoressa  associato di ‘Lingua e Letteratura latina’ presso il ‘Dipartimento di studi  manistici’ dell’ Università degli studi di Foggia, dove insegna ‘Storia della lingua Latina’ e ‘Civiltà e cultura Latina’. La lezione, avente come tema ‘il corpo violato’, si è aperta con la visione del corpo femminile nella cultura romana e si è sviluppata su 2 punti:

– l’analisi del termine “pudicitia” come unico valore sociale della donna;

– il termine “stuprum” e il termine “turpitudo”.

Il primo punto è stato svolto attraverso la lettura del brano di Tito Livio “la storia di Lucrezia”,  che racconta di come Sesto Tarquinio, invitato a cena dal nobile amico Collatino, conosciuta  la moglie di quest’ultimo e se ne invaghì, sedotto dalla castità della donna romana. Qualche giorno più tardi, all’insaputa dell’amico Tarquinio  andò da Lucrezia che, ignorando le sue reali intenzioni, lo accolse in modo ospitale. Subito dopo cena, mentre tutti dormivano, Sesto Tarquinio quindi s’introdusse nella stanza da letto di Lucrezia che, trovatosi l’uomo di fronte armato e nell’atto di aggredirla, provò a respingerlo, ma Sesto la minacciò, dicendole che  se lei non avesse acconsentito a soddisfarlo, l’avrebbe uccisa e accanto le avrebbe messo il corpo mutilato di uno schiavo, sostenendo poi di averla colta in flagrante adulterio. Subito dopo Sesto ritornò al campo. Il giorno seguente Lucrezia, triste e sconsolata per l’accaduto, mandò un messaggio al padre a Roma e uno al marito ad Ardea chiedendo di raggiungerla il prima possibile. Una volta arrivati raccontò quanto era accaduto e affermò che l’unico colpevole era Tarquinio e, per dimostrare il suo amore nei confronti del marito, si trafisse il petto con un pugnale che nascondeva sotto i vestiti, morendo tra le braccia di suo padre. Questa scena terribile colpì i romani suscitando così tanto orrore e compassione che tutti giurarono che avrebbero preferito morire mille volte in nome della libertà che subire gli  insulti da parte dei Tiranni. Lo stupro subito da Lucrezia da parte del figlio del re di Roma  della famiglia dei Tarquini e il conseguente suicidio furono la causa della immediata rivoluzione che rovesciò la monarchia e stabilì la Repubblica Romana. Questo può essere considerato un evento che  dimostra quanto la  donna romana conservi un valore sociale finché conserva la sua pudicizia, poiché, per i Romani, la verecondia e la pudicizia erano considerate le virtù più importanti che una donna poteva possedere. Di conseguenza l’adulterio era sì una colpa, ma solo se veniva commesso dalla donna e veniva punito con la privazione dei diritti in generale, in particolare del diritto di contrarre legittimi matrimoni (a seconda della gravità dell’adulterio commesso era prevista anche la pena di morte se il pater familias lo riteneva necessario). La concezione dell’adulterio nella società romana ci permette di riflettere in modo più approfondito su una visione moderna di tale colpa, oggi più tollerata soprattutto in considerazione del progressivo decadimento, in senso moralistico, del valore della fedeltà coniugale

Il secondo punto, invece, è stato sviluppato secondo i vari significati che, nella storia, sono stati dati ai termini “stuprum” e “turpitudo”. Mentre il termine “turpitudo” ha sempre avuto collegamenti con la sfera sessuale e con la vergogna e il disonore, il termine “stuprum”, all’inizio, non veniva usato nell’ ambito della sfera sessuale, finché Plauto non ne parla a proposito degli atti impuri anche nei confronti di persone consenzienti. Anche Nevio ne parla, ma lo intende come “vergogna” che colpisce i cittadini romani nel momento in cui abbandonano il campo di battaglia. Anche nei nostri giorni con il termine “turpe” si intende offendere gravemente la dignità, il pudore e l’ onestà di un individuo, ma nella società romana  nel caso dell’uomo determina,la perdita della dignità, che lo renderà non  più un “vir” in grado di dominare, e nel caso della donna non sarà più maritata né capace di stare nella domus.

Lo stupro, quindi, poteva essere considerato un adulterio nel caso in cui la donna rimanesse incinta, infatti sarebbe stato considerato un danno per il marito, per la famiglia e di conseguenza per la società.

Giulia Rossolino, 3ªC1