di Claudia Pelosi –
Se il libro, cartaceo e non, comunica l’idea della decifrabilità, dell’intelligibilità, una lezione sul campo è tuttora un’esperienza sensoriale, emozionale e cognitiva molto forte, soprattutto per quel sottile senso di precarietà che vive chiunque si appresti ad intraprendere un viaggio.
Martedì 17 dicembre, la mia classe, la 3aS3, insieme alla classe 5aC, si è recata ad Andria, capoluogo, con Barletta e Trani, della provincia di BAT, in Puglia, per approfondire la conoscenza degli stili architettonici e della figura dell’imperatore Federico II di Svevia. Accompagnati dalle prof.sse Carlo e Parente, abbiamo aggiunto un nuovo tassello al nostro La.Pro.Di “Orme… …l’esigenza dell’uomo di lasciar traccia di sé”. Appena arrivati ci siamo recati presso la cattedrale di Santa Maria Assunta, all’esterno della quale abbiamo osservato il portale situato accanto all’entrata, nel quale spicca lo stemma della città: un leone rampante su un ramo di quercia, con l’incisione “ANDRIA NON MINUS FIDELIS QUAM BENIGNA”. Partendo proprio da questa frase, la guida ci ha proposto un excursus sulla storia di Andria, legata all’epoca medievale.
Leggendarie e incerte sono le origini della città; sembra comunque accertato che Pietro I il Normanno, Conte di Trani, fondò, o meglio, rifondò Andria elevandola a “civitas”,cingendola di mura, verso il 1046. La città fu, dunque, dominio normanno sino a quando il Regno di Puglia e di Sicilia passò, nel secolo XII, agli Svevi, la cui storia, in particolare quella di Federico II, è strettamente legata a quella di Andria: la città viene definita “fidelis” proprio per la sua fedeltà nei confronti di Federico II, in particolare quando egli, scomunicato dal papa Gregorio IX, si recò a Gerusalemme per riconquistarla con le armi della diplomazia e trovò, al suo ritorno, tutte le sue città in rivolta contro di lui e schierate dalla parte del papa; l’unica rimastagli fedele era, appunto, Andria. Essa viene definita, inoltre, benigna per la nascita, sempre nel Medioevo, di diversi ospedali, o meglio ospizi, sorti di solito accanto alle chiese, per impulso della religione, che accoglievano pellegrini, poveri, fanciulli abbandonati, qualunque specie di indigenti.
Dopo la sconfitta e la morte di Manfredi a Benevento, nel 1266, Andria, passata agli Angioini, divenne Contea e sotto Francesco I del Balzo assunse il titolo di Ducato.
Governata da Federico d’Aragona, divenuto poi il re di Napoli, fu assegnata (sec. XVI), durante la dominazione spagnola, al Gran Capitano Consalvo di Cordova. Nel 1552 fu ceduta per 100.000 ducati insieme con il Castel del Monte, al Conte di Ruvo Fabrizio Carafa, il cui figlio Antonio ottenne il titolo di Duca di Andria dal re di Spagna Filippo II.
Ci siamo, poi, soffermati sul monumento “San Riccardo alla bandiera”, dedicato al patrono della città, ossia San Riccardo, abbigliato come un vescovo, ed eretto durante l’invasione di locuste che colpì Andria nel 1741.
Successivamente abbiamo visitato la cattedrale, la cui fondazione risale alla fine dell’XI secolo, quando è conte di Andria Goffredo d’Altavilla.
Prima di questa costruzione, sullo stesso luogo vi era un’altra chiesa, ovvero l’attuale cripta, un tempo chiesa di superficie (questo giustifica la presenza delle finestre) e di cui oggigiorno sarebbe visibile solo la sua parte absidale.
All’interno di essa sono sepolte due delle mogli dell’imperatore Federico II: Jolanda di Brienne e Isabella d’Inghilterra. La chiesa è composta da tre navate, divise da pilastri romanici e contiene dieci cappelle laterali, più una a nord del transetto, che custodisce le reliquie del Santo Patrono di Andria.
La cattedrale di Santa Maria Assunta è, inoltre, il luogo dove viene periodicamente esposta la Sacra Spina, reliquia donata ad Andria nel 1308 da Beatrice d’Angiò, che si ritiene essere appartenuta alla corona di Cristo. Ciò è avvalorato dal fatto che, quando il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, coincide con quello della morte di Cristo, quindi con il Venerdì Santo, essa diventa prodigiosa; durante l’ultimo prodigio, 25 marzo 2005, la Spina ha mostrato dei cambiamenti cromatici anomali.
Il nostro tour è proseguito con la visita delle altre principali chiese della città, ossia la chiesa di Sant’Agostino, dotata di un imponente portale, coronato da sette fasce floreali; la chiesa di San Francesco, all’interno della quale si possono ammirare il coro ligneo scolpito a mano e la splendida cantoria in oro zecchino su fondo a smalto verde con un organo del 1766, opera dell’artista andriese Tommaso Porziotta.
Successivamente ci siamo recati in un centro commerciale per la pausa pranzo, per poi dirigerci con il pullman verso Castel del Monte, a qualche chilometro dal centro di Andria.
Tra i castelli edificati da Federico II di Svevia in Puglia, spicca Castel del Monte, che sorge su un Colle alto 540 metri. Faceva parte di una fitta rete di fortezze strategiche, per lo più destinate alla difesa del territorio, ma, in realtà, esso richiama solamente nell’aspetto esterno la tipologia del fortilizio. Appare invece come il simbolo della potenza Sveva, del diadema imperiale, per la sua caratteristica forma ottagonale che lo richiama e che rende il maniero federiciano universalmente noto. A causa della mancanza di fonti, non si conosce, però, quale fosse la sua funzione effettiva al tempo dell’imperatore; esso fu costruito probabilmente come residenza di caccia o per dotti intrattenimenti sulla matematica e l’astronomia, mentre sarebbe da escludere la funzione difensiva per la mancanza di un fossato, di sotterranei, feritoie e per l’andamento delle scale a chiocciola, che lascerebbero un ampio spazio ai nemici intenti, durante la salita, nello sfoderare la spada, tenuta in genere sul lato sinistro. La costruzione offre, inoltre, una grande quantità di suggestioni simboliche, matematiche, geometriche, astronomiche e geografiche, che la rendono il segno concreto e tangibile di una conoscenza “diversa” e, come è stato detto spesso, di un “edificio filosofico”. Si configura, poi, come la celebrazione dell’otto e dei significati che esso sottende, tra cui quello dell’infinito. Infatti, ha la forma di un prisma ottagonale, che raggiunge i 20 m di altezza e 40 di larghezza; su ognuno degli otto spigoli si innestano otto torri della stessa forma, in pietra calcarea locale, segnate da una cornice marcapiano; nel piano inferiore si aprono otto monofore e in quello superiore sette bifore ed un’unica trifora, rivolta verso Andria. Anche il cortile interno è ottagonale ed è caratterizzato, come tutto l’edificio, dal contrasto cromatico derivante dall’utilizzo di breccia corallina, pietra calcarea e marmi; un tempo erano presenti anche antiche sculture, di cui restano solo la lastra raffigurante il Corteo dei cavalieri ed un Frammento di figura antropomorfa. Le sedici sale, otto per ciascun piano, hanno forma trapezoidale; lo spazio è ripartito in una campata centrale quadrata coperta a crociera, mentre i residui spazi triangolari sono coperti da volte a botte ogivali. Le chiavi di volta delle crociere sono diverse fra loro, decorate da elementi antropomorfi e zoomorfi. Il collegamento fra i due piani avviene attraverso tre scale a chiocciola, inserite in altrettante torri. Alcune di queste accolgono cisterne per la raccolta delle acque piovane, in parte convogliate anche verso la cisterna scavata nella roccia, al di sotto del cortile centrale. In altre, invece, sono ubicati i bagni, dotati di latrina e lavabo, ed affiancati da un piccolo ambiente, probabilmente utilizzato come spogliatoio o forse destinato ad accogliere vasche per abluzioni, poiché la cura del corpo era molto praticata da Federico II e dalla sua corte, secondo un’usanza tipica del mondo arabo tanto amato dal sovrano.
Il castello fu trasformato in prigione dagli Angioini e fu teatro dei festeggiamenti per il matrimonio fra Beatrice d’Angiò e Bertrando del Balzo nel 1308. Dopo alterne vicende, fu acquistato dai Carafa, insieme alla città di Andria, nel 1552; rimasto in seguito incustodito subì una triste storia di saccheggi e devastazioni. Dal 1876 è proprietà dello stato, che lo ha restaurato e reso fruibile.
Nel 1996 è stato dichiarato patrimonio mondiale dall’UNESCO, con questa motivazione: “Castel del Monte possiede un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme, l’armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell’Europa, dal mondo Musulmano e dall’antichità classica. È un capolavoro unico dell’architettura medievale, che riflette l’umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia”.
Terminata la visita del castello, ci siamo soffermati all’esterno di esso per scattare una foto di gruppo e per godere del bellissimo panorama e di uno splendido tramonto, prima di intraprendere il viaggio di rientro.