“Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino” è il titolo dello spettacolo al quale noi studenti della 2ªT2 abbiamo assistito lunedì 16 marzo presso il Cinema Teatro Modernissimo e presentato dalla compagnia teatrale ‘La mansarda teatro dell’Orco’.
Lo spettacolo, che prende il nome dall’omonimo libro di cui l’ex magistrato Giuseppe Ayala è autore, è stato proposto con lo scopo di porre l’attenzione su fatti di estrema attualità e ricostruire, dunque, la storia del pool antimafia, il maxiprocesso, le stragi in cui furono uccisi Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
Uno spettacolo semplice, in cui abbiamo riflettuto non solo su quei tragici e intensi anni, ma anche sull’Italia di oggi. Uno spettacolo documentario, un pezzo di storia, della nostra storia; un pezzo dell’anima della nostra Nazione, di questo Stato amato e odiato, amico e nemico, una storia di nomi, omicidi, attentati, piccoli e grandi eroi, amicizie, paure, intrighi.
Una storia che ci fa rabbrividire, perché non è una storia scritta da un autore che l’ha generata grazie alla propria fantasia; ma è una storia reale, la storia del nostro passato e del nostro futuro.Una storia che grazie al coraggio, alla tenacia e alla professionalità di Falcone e Borsellino è diventata meno oscura, più decifrabile.
Sul palco due attori che hanno assunto ruoli diversi nello spettacolo. Ayala-personaggio che ha raccontato la storia di due grandi uomini, assenti e, allo stesso tempo, indiscussi artefici della storia: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone; una cantante che ha avuto, invece, il compito di annodare la cronaca dell’epoca al racconto con canti strazianti che rappresentavano il dolore delle vedove della mafia.
Lo spettacolo è stato suddiviso in due parti. La prima è stata dedicata al rapporto tra Ayala, Falcone e Borsellino, una storia di amicizia e collaborazione, di momenti difficili, drammatici e allo stesso tempo entusiasmanti.Un legame rafforzato dal tempo trascorso lavorando fianco a fianco, ma anche dai viaggi e dalle serate vissute assieme, fino alla loro drammatica scomparsa.Nella seconda parte dello spettacolo è stato ricostruito, in parte, lo storico maxiprocesso, considerato la prima, grande reazione dello Stato a Cosa Nostra, del quale Ayala fu pubblico ministero, e che si svolse in un’aula bunker appositamente costruita. Il processo terminò il 16 dicembre 1987 dopo quasi due anni e si concluse con 2665 anni di condanne per 360 colpevoli, ai quali si aggiungono anche le condanne ad ergastolo dei 19 boss principali.
Scena teatrale essenziale, ma significativa: sullo sfondo un grande schermo e al centro della scena una montagna di macerie su cui erano posti qua e là piccoli televisori su cui passavano le immagini di Capaci e via D’Amelio, poi quelle del maxiprocesso, le interviste, le notizie del telegiornale. I filmati storici hanno reso vive le parole dei due attori e ne hanno sottolineato la verità.
Il racconto di Ayala-personaggio ha posto l’attenzione sulla Sicilia, su Cosa Nostra, sulla politica e sulla giustizia italiana di quel periodo, ma soprattutto ha raccontato di uomini che hanno dato la vita per noi, nel tentativo di fermare questa realtà di sangue e illegalità in cui vive il nostro paese, di uominicome Falcone e Borsellino, vittime di uno stato che non li ha protetti.
Vivere dove è presente la mafia non è facile, perché le persone, per non mettere a rischio la propria vita e quella dei propri familiari, osservano la legge non scritta dell’omertà, ovvero un atteggiamento di ostinato silenzio, e non denunciano se vengono a conoscenza di chi ha commesso infrazioni o reati più o meno gravi.Combattere la mafia non è facile dato che non si fa problemi ad uccidere coloro che cercano di contrastarla. C’è molta rabbia quando a volte si sente dire che delle persone hanno perso la vita perché si sono ribellati a quel sistema; e la rabbia aumenta se si pensa che la mafia sembra essere superiore a coloro che cercano di combatterla. C’è bisogno di tanto coraggio per sostenere e divulgare un pensiero di speranza, un’idea nuova di legalità; e ancora più coraggio ci vuole per parlare e denunciare ciò che la mafia compie ogni giorno. La criminalità organizzata è un fenomeno che deve essere arrestato; ora, prima che degeneri ancora; ora, prima che lo Stato intero ne venga fagocitato; ora, prima che i vantaggi reciproci che evidentemente traggono mafia e Stato dai loro rapporti, spazzi via ogni speranza. Ma degenererà ancora finché nello Stato ci saranno persone che avranno paura di opporvisi.
La mafia, come affermò Falcone in una celebre intervista, non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.»
La mafia, dunque, non sarà annientata finché noi cittadini non ne prenderemo coscienza e, soprattutto, finché le Istituzioni non si decideranno a combatterla seriamente. Perché lo Stato, contrariamente a ciò che vogliono farci credere, quando vuole sa esserci.
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