Gli studenti del Telesi@, metafora dei sassi e della palude al Teatro Nuovo di Napoli.
Venerdì 22 Aprile, il Teatro Nuovo di Napoli ha avuto come spettatori della rappresentazione teatrale “La Cena delle Ceneri” di Giordano Bruno gli studenti delle classi 4ªS1, 4ªS2, 4ªT3 e 4ªLES dell’Istituto Telesi@
Sul palcoscenico gli attori hanno dato vita al dialogo bruniano ed il protagonista, autore e regista della messa in scena, ha saputo sintetizzare le teorie del filosofo in modo efficace ed efficiente. Bruno, con il suo universo panteistico e con la sua tesi dell’infinità dei mondi, si presenta come colui che è riuscito ad abbattere le mura nelle quali Aristotele, Tolomeo e le religioni avevano rinchiuso l’universo considerandolo finito. I fatti si svolgono nella cornice della Londra del 1584, più precisamente durante un banchetto particolare, quello tenuto la sera del primo giorno di quaresima del 1583 (appunto detto “delle ceneri” perché vi si celebra un apposito rito penitenziale dopo le festività del carnevale) nella casa londinese del nobiluomo Fulke Greville. A questo banchetto il Nolano invita il suo protettore Michel de Castelnau, signore di Mauvissière, l’ambasciatore francese presso la corte di Elisabetta I nella cui casa Bruno aveva soggiornato nel corso dei due anni passati in Inghilterra. Segue una breve ma vivace ed ironica esposizione del contenuto dei cinque dialoghi di cui si compone l’opera, nonché la contestuale presentazione dei personaggi partecipanti alla discussione. Il “Dialogo” è “istoriale” per cui vi si intrecciano vari motivi oltre quello scientifico: poesia, commedia, insegnamento, lode, dimostrazione, matematica, fisica, morale. Tutti però sono ugualmente importanti, in particolare le polemiche perché consentono d’ “imparar a l’altrui spese”. E qui naturalmente Bruno ha modo di lanciare una frecciata contro i professori di Oxford che, chiamati ad ascoltare e a discutere le idee di Bruno si sono mostrati tanto presuntuosi quanto ignoranti: dunque una cornice questa indegna delle dottrine ivi sostenute e certo non all’altezza del livello speculativo che Bruno avrebbe voluto tenere. Il dialogo si conclude con l’elogio di Enrico III, che Bruno aveva conosciuto nel precedente soggiorno a Parigi e a cui aveva dedicato il “De umbris idearum”. Oltre ai dialoghi ed al confronto tra i personaggi, utili per l’esposizione della filosofia del frate nolano, in nome della quale egli morirà come eretico sul rogo il 17 febbraio 1600, originale è stata la rappresentazione del viaggio, che il protagonista affronta per raggiungere i suoi interlocutori, durante la quale noi spettatori siamo stati coinvolti perché a sorpresa siamo diventati sassi e fango che ostacolavano il percorso di Bruno e, metaforicamente, anche la folla inglese ostile al filosofo. Siamo diventati così parte integrante dello spettacolo per cui la nostra attenzione è rimasta sempre viva e le dottrine esposte ci sono sembrate alla nostra portata e facili da comprendere, supportati anche dall’approfondimento fatto in classe con i nostri docenti. In molti casi, inoltre, ci è stata strappata anche qualche risata, cosa assolutamente non abituale quando si parla di filosofia. Alla rappresentazione è seguito uno spezzone di un film su Giordano Bruno che trattava del processo , del suo rifiuto ad abiurare e della sua condanna a morte e questo ha permesso a noi studenti di avere una visione più completa del filosofo ed un riscontro su quanto studiato. E’ seguito un dibattito durante il quale gli studenti ed il protagonista si sono confrontati e…… “dulcis in fundo” abbiamo ricevuto i complimenti per la serietà che abbiamo dimostrato nell’ascolto e nella partecipazione.
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All’esperienza teatrale ha fatto seguito un percorso storico- ambientale attraverso i luoghi più significativi della cultura partenopea. Guidati dalla dott.ssa Maria Settembre, operatrice di Legambiente, siamo partiti dalla stazione Toledo della metropolitana, premiata, il 30 novembre 2012, come la più impressionante d’Europa dal quotidiano The Daily Telegraph, e siamo scesi in Piazza Dante. Le stazioni dell’arte sono un complesso artistico-funzionale, composto da fermate della metropolitana di Napoli, in cui è stata prestata particolare attenzione a rendere gli ambienti belli, confortevoli ed efficienti. La finalità principale è di combinare la fruizione del trasporto pubblico con l’esposizione degli utenti all’arte contemporanea, allo scopo di favorirne la conoscenza e diffusione. La finalità secondaria è di riqualificare vaste aree del tessuto urbano e fungere da elemento motore per la realizzazione di nuove costruzioni che assumano il ruolo di luoghi focali della città . Il percorso è continuato attraverso i Decumani, tre strade che scorrono parallelamente l’una dall’altra attraversando da est a ovest la città. Il termine decumano risulta in realtà improprio in quanto esso caratterizza un sistema di urbanizzazione di epoca romana. Neapolis, invece, venne fondata come colonia greca, dunque ben prima dell’avvento dei romani. L’ultima tappa è stato il Museo Cappella San Severo, un vero e proprio gioiello del patrimonio artistico internazionale, ma anche uno dei più singolari monumenti che l’ingegno umano abbia mai concepito. Un mausoleo nobiliare, un tempio iniziatico in cui è mirabilmente trasfusa la poliedrica personalità del suo geniale ideatore: Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero.
Al centro della navata si trova il Cristo velato, realizzato da Giuseppe Sanmartino, su committenza di Raimondo di Sangro. Doveva essere una semplice rappresentazione di Gesù avvolto nel sudario, ma osservandola è impossibile non essere investiti da mille interrogativi, primo tra tutti l’assoluta perfezione dell’opera. Mai un velo è stato rappresentato in questo modo, perlopiù da un giovane e sconosciuto artista napoletano che ha saputo superare gli stessi Canova e Michelangelo. L’immagine è così autentica che trascina lo spettatore alla pietà e allo stesso tempo alla delicatezza con cui viene avvolto il Cristo, paradossalmente vivo, immortale, eterno, prossimo alla resurrezione. Nella Cavea sotterranea sono oggi conservate, all’interno di due bacheche, le famose Macchine anatomiche, ovvero gli scheletri di un uomo e di una donna in posizione eretta, con il sistema artero-venoso quasi perfettamente integro. Le Macchine furono realizzate dal medico palermitano Giuseppe Salerno, sotto la direzione di Raimondo di Sangro; il reperimento di atti notarili e fedi di credito consente di datare questi “lavori” al 1763-64. E’ stato ipotizzato che Salerno abbia inoculato in due cadaveri una sostanza, forse a base di mercurio, creata in laboratorio dal principe, la quale avrebbe permesso la “metallizzazione” dei vasi sanguigni. L’altra possibilità è che il sistema circolatorio sia frutto, in parte o nella sua interezza, di una ricostruzione effettuata con diversi materiali, tra cui la cera d’api e alcuni coloranti.
Affascinati dalle meraviglie che la nostra terra racchiude e certi che una lezione sul campo possa determinare apprendimenti significativi, abbiamo concluso il nostro viaggio con la consapevolezza di voler continuare la nostra ricerca.